
Ci si sguazza, ma tornare indietro è sempre un'avventura.
La prima cosa che colpisce del tornare a Milano è che tutti parlano in italiano. vabbè, circa. Cmq, la cosa significa comprendere tutto, tutti, dalla più minima cazzata adolescenziale a tutti i dettagli sull'imminente collezione autunno-inverno.
Ma odio molto di più:
- i cartelloni pubblicitari di Katia arredamenti, con quella becera in caschetto biondo fresco di parrucchia che ringrazia la sciùra Maria
- l'accanimento con cui la Coop cerca di convincerti che si sta facendo un culo così per tenere i prezzi bassi
- Coach Recalcati, ma adesso non c'entra
- lo stuolo infinito di fighe mezze famose a cui mettono addosso dell'intimo ridicolo per finire appiccicate su cartelloni giganteschi, ripetitivi, incombenti. fortuna che non li fanno 3d
Tuttavia, queste sono distrazioni. Insopportabile, al di là dei lavori in viale zara, del ticket antismog, della retorica sul calcio, è l'atmosfera di sonnolente attesa che informa la nostra educazione, stile di vita, socialità.
Ho passato nove decimi della mia vita a studiare. per lo più cose disgustose: "mamma non mi piace il latino..", "zitto, tappati il naso e ingoia, serve per il tuo futuro". un giorno ringrazierai.
un giorno. o anche due perchè no.
una volta passavo le notti a chiedermi quando sarebbe arrivato quel giorno. ora più prosaicamente dubito che esista effettivamente; dopo vent'anni passati a investire nel futuro un giorno ti svegli e il futuro è passato, almeno in quest'accezione. no surprise che ci ho messo quasi sei anni a laurearmi. anzi ho fatto bene, intanto che investivo nel futuro me la godevo sulle delle scale antincendio.